Sommario:
De Laurentiis: "Basta con le beghe locali, a Capri c'è bisogno di un "governatore"
Cacciari: "I miliardari puzzolenti fanno fuggire gli intellettuali. Ovvio che La Capri a sia andato via. Federico?Mi è simpatico"
Morgano: “Stia tranquillo Cacciari, i nuovi ricchi non inquinano Capri. L'isola ha uno stomaco forte, riesce digerire di tutto"
Un’agenzia milanese cura il Marchio Capri
“Capri é cambiata, ma é bella da morirci”. Lea Vergine e i rapporti con l’isola dal ‘50 a oggi: quanti misfatti e ora non è di moda
Addio status symbol, il vero lusso è vintage
Le ostentazioni commerciali dei settentrionali le preferenze familiste dei meridionali

Corriere del Mezzogiorno, Domenica 18 Maggio 2003
De Laurentiis: basta con le beghe locali, a Capri c’è bisogno di un “governatore"

NAPOLI - Il turismo di massa sta uccidendo Capri, avverte l’Agenzia europea per l’ambiente.
“Ma questi allarmi suonano un po’ ipocriti visto che l’Europa, nata per dare una risposta collettiva ai problemi, si è già trasformata in una gerontocrazia tesa solo a perpetuare il proprio potere e a emarginare le giovani generazioni”.

Da Los Angeles, dove si trova per motivi professionali e familiari («La postproduzione di The world oftomorrow. il mio nuovo film con Gwyneth Paltrow, Jude Law e Angelina Jolie, e la laurea in cinema e tivù di mio figlio Luigi alla Southern California University») il produttore Aurelio De Laurentiis striglia il Vecchio Mondo incapace di andare oltre i limiti della denuncia sterile. Ma poi entra di slancio nella polemica sul futuro dell’isola che è da sempre nel suo cuore:
«Parliamoci chiaro, Capri vive un irrinunciabile turismo quotidiano internazionale di gente che arriva con un pacchetto» predeterminato dai tour operator la tratta Sorrento-Capri è la più frequentata del Golfo. L’isola vive di ciò, il problema è come convogliare questo traffico, ad esempio regolando in maniera rigorosa gli orari di aliscafi e traghetti».

In verità è quello che il sindaco di Capri Costantino Federico ha sempre tentato di fare, ottenendo solo severe reprimende.
«Ma Capri non è luogo che si possa amministrare in maniera "normale”. Già il fatto che l’isola sia suddivisa in due Comuni è un controsenso. In realtà Capri avrebbe bisogno di un unico grande negoziatore in grado di confrontarsi con i tour operator e che sia messo in grado di decidere scavalcando la miopia, il lassismo, la lentezza della burocrazia locale».

Confessi: lei — da bravo produttore cinematografico - sogna un imperatore di Capri.
«L’imperatore di Capri è stato uno solo, Totò. Ma un governatore di Capri, quello sì. Un governatore, ecco che cosa ci vorrebbe».

E crede che lo lascerebbero «governare» in pace?
«L’amministrazione locale e. i capresi devono rendersi conto che, se non fanno un salto di qualità sul piano mentale, se non escono dal loro guscio di isolani, non saranno mai capaci di amministrare 11 turismo di massa internazionale ma si limiteranno a subirlo».

E se lei fosse per un giorno imperatore - pardon, governatore - di Capri, da dove comincerebbe questa rivoluzione?
«Ovvio, dal porto. Una sua ristrutturazione è fondamentale, basta fermarsi in un qualsiasi giorno d’estate a guardare il traffico impazzito di aliscafi, traghetti e imbarcazioni turistiche per capire che è un puro caso se ancora non si è verificato un incidente serio».

Facciamo gli scongiuri
«Certo. Ma è ancor più importante rendersi conto che stiamo parlando di una delle meraviglie del mondo; e che Capri e tante altre località del nostro Paese hanno in sé tutto ciò che ci permetterebbe di azzerare il debito pubblico, e di vivere tranquilli e privi di stress. Il problema degli italiani, e in questo caso dei capresi, è che non vogliono diventare attori, ma preferiscono restare spettatori».

Spostiamoci sulla terraferma, dove qualcosa sembra stia cambiando: a Sorrento e ad Amalfi ora per entrare nel centro storico si paga il ticket.
«Qualunque regola si stabilisca per meglio regolarizzare i flussi di traffico mi trova d’accordo.
Sono stato da poco a Londra, e ho scoperto che è diventata una città vivibilissima,che tutto il West End è decongestionato.
Come anno fatto? Alcune strade sono percorribili solo pagando un abbonamento, e chi non ce l’ha, non passa. I problemi di piccoli centri come Amalfi e Sorrento non sono quelli di una metropoli con milioni di auto: ma qualcosa per arginare 1’ “invasione di cavallette” va fatta; magari i commercianti o gli albergatori storceranno all’inizio il naso, ma poi capiranno che le limitazioni sono vantaggiose anche per loro. Capri, Amalfi, Sorrento sono luoghi che vendono anche e soprattutto benessere. Oltre che, va da sé, storia e cultura. Se penso che Disneyworld ha più visitatori di Roma, mi chiedo quali risultati potrebbe raggiungere Capri se fosse territorio degli Stati Uniti. Invece, per nostra fortuna, è italiana: cerchiamo di meritarcela (e di governarla), questa fortuna».

Antonio Fiore

Corriere del Mezzogiorno, Venerdì 18 Luglio 2003 di Gimmo Cuomo
Cacciari: «I miliardari puzzolenti fanno fuggire gli intellettuali. Ovvio che La Capri a sia andato via. Federico?Mi è simpatico»

CAPRI - Lontano dalla sua Venezia, il filosofo Massimo Cacciari si sta concedendo qualche giorno di riposo in quella Costiera amalfitana che ama da sempre e che insieme a Capri considera «il posto più bello del Mediterraneo». Oggi si trasferirà appunto sull’isola azzurra dove alle 19.30 sulla terrazza dell’hotel Caesar Augustus di Anacapri leggerà il quinto canto dell’Inferno della Divina Commedia. L’evento è stato organizzato da Ausilia Veneruso e Riccardo Esposito, gli infaticabili ed entusiasti titolari della libreria «La Conchiglia», e dallo stesso proprietario del Caesar Augustus Paolo Signorini.

Professore cosa c’entra Dante con Capri?
«La scelta è stata mia.
Quando mi fu chiesto di venire a Capri per un incontro culturale pensai subito a Dante. E, in particolare, pensai proprio al canto di Paolo e Francesca, così celebre e famoso. Volevo evitare gli eccessi specialistici. D’altra parte, non posso dimenticare che, al di là della fama, si tratti di uno dei canti più difficili dell’opera dantesca, soprattutto dal punto di vista teologico».

E Cacciari, invece, che rapporto ha con l’isola?
«Un rapporto molto antico. A Capri sono venuto per la prima volta da ragazzo. Ora, di tanto in tanto, ci torno. E sempre molto volentieri. Mi considero un innamorato di questi posti, che, come le ho appena detto, considero i più belli del Mediterraneo. E guardi che ho girato molto».

Che spazio c’è secondo lei oggi per la cultura in un’isola così mondana e patinata come Capri?
«A me sembra bello che a Capri si organizzino momenti d’incontro come questo. Insomma credo che si debba trovare spazio per qualcosa di diverso rispetto al solito cicaleccio, al chiacchiericcio salottiero, al gossip. Del resto l’isola storicamente ha avuto una connotazione culturale molto precisa, ha sempre attratto grandi uomini di cultura, grandi artisti. In quest’ottica mi sembra meritoria l’attività di una piccola casa editrice come la Conchiglia che punta a preservare un aspetto non secondario dell’identità caprese. La valorizzazione della vocazione autenticamente culturale dell’isola è un’operazione esemplare».

Non ha mai ceduto al fascino indiscreto del «pettegolezzo da piazzetta»?
«Davvero mai. Non ho mai frequentato certi giri e non ho mai fatto salotto».

Cosa le piace in particolare dell’isola?
«A parte le chiacchiere, tutto. Mi piacciono i luoghi, mi piace la gente del posto».

Chi tra gli uomini di cultura che hanno frequentato Capri ha interpretato meglio l’isola?
«Credo che lo straordinario paesaggio caprese trovi un’interpretazione autentica, drammaticamente alta, in «Ferito a Morte» di Raffaele La Capria. Che considero uno dei più grandi romanzi del Novecento. Quel libro si può considerare l’equivalente di un’altra grandissima opera d’arte, cioè il film “La dolce vita” di Federico Fellini».

Intanto La Capria, da alcuni anni ha lasciato Capri.
«E chiaro: tutti l’hanno lasciata quando è diventata la meta preferita di certi miliardari puzzolenti. Ormai in giro c’è tanta stupidità».

C’è da scoinmettere che quest’ultima riflessione innescherà non poche polemiche.
«Va bene, accetto il rischio. Anche se mi deve consentire una precisazione. Quando parlo di miliardari puzzolenti, non voglio esprimere un giudizio negativo sulla ricchezza o roba del genere. Mi riferisco esclusivamente a certi ricchi di importazione. Sottolineo: d’importazione. Tra i capresi e gli amalfitani non ne ho mai trovati. Anzi ho sempre apprezzato il gusto, l’educazione e l’estrema civiltà della vostra gente. Di persone così al Nord si è perso lo stampo».

Qualche nome?
«Ne dimenticherei troppi».

Un nome almeno?
«Ma perché fare nomi? Ne ho conosciuti tanti. Ecco se proprio vuole penso tra gli altri a Giovanni Russo, il proprietario de Li Galli, dove sono stato qualche giorno fa».

Ciclicamente ritorna una vecchia questione: Capri è un’isola di sinistra o di destra?
«Capri è Capri e basta. Quando ero sindaco di Venezia ero in ottimi rapporti col sindaco. E probabilmente non ho mai saputo, nè mi sono chiesto, di che partito fosse».

Sta parlando di Costantino Federico?
«Appunto. Era lui il sindaco».

Se è per questo lo è tuttora.
«Ma davvero? E come fa a restare in carica da tanto tempo? Forse hanno varato una legge
ad hoc per lui? Scherzi a parte, mi era molto simpatico. Proprio un tipo particolare».

Gimmo Cuomo

Corriere del Mezzogiorno, sabato 19 Luglio 2003
Morgano: “Stia tranquillo Cacciari, i nuovi ricchi non inquinano Capri. L'isola ha uno stomaco forte, riesce digerire di tutto"

CAPRI - Di miliardari, di lungo e di più recente corso, Gianfranco Morgano, epigono della più illustre tradizione alberghiera dell’isola azzurra, se ne intende davvero. Gli alberghi di famiglia, primo fra tutti il «Grand Hotel Quisisana», ospitano quotidianamente clienti di tutto il mondo che non hanno certo problemi economici. Il medico-albergatore ha letto con divertimento l’intervista al filosofo Massimo Cacciari, pubblicata ieri sul Corriere del Mezzogiorno. E, naturalmente, non gli è sfuggita la considerazione sui «miliardari puzzolenti d’importazione» che, secondo l’ex sindaco di Venezia, avrebbero contribuito alla fuga dall’isola degli intellettuali come Raffaele La Capria. «Naturalmente - commenta quella frase Morgano - considero quella frase solo una provocazione. Non vi ho letto cattiveria. Ecco, diciamo che si è trattato di una provocazione benevola».

Al di là delle espressioni forti, pensa anche lei allora che ci sia stato in qualche modo un “imbarbarimento” dell’isola?
"Questo no. Non parlerei di imbarbarimento, piuttosto di evoluzione.
Certamente cento anni fa, quando la mia bisnonna Lucia Morgano si rendeva protagonista della rinascita di Capri dopo i fasti antichi dell’imperatore Tiberio, l’economia dell’isola si reggeva su dieci grandi super ricchi. Ma erano persone completamente diverse. Ora il mondo è profondamente cambiato: la ricchezza soprattutto è molto più diffusa e distribuita. Anche rispetto a dieci anni fa il profilo dei ricchi è cambiato. Prima il prototipo del miliardario era il proprietario di una grande industria, oggi è il protagonista della New economy. Bill Gates quindici anni fa non era certo l’uomo più ricco del mondo. Peraltro il ricco di oggi non vive di rendita, ma, proprio per mantenere la ricchezza, è costretto a lavorare. E’ diffìcile che possa permettersi soggiorni di mesi e mesi. O addirittura di stabilirsi a Capri. Ma questo non vuoi dire che i miliardari dei nostri tempi debbano essere paragonati a dei barbari che approdano sull’isola".

Eppure molti “miliardari” del passato erano anche dei raffinati intellettuali. Ora non è più così.
«Anche in questo caso non sono completamente d’accordo. Non esiste secondo me una contrapposizione tra la ricchezza e la dimensione intellettuale. Ripeto: oggi la ricchezza è molto più diffusa rispetto al passato, sicché puoi imbatterti sia in ricchi intellettuali sia in persone ricche e basta».

Riesce a riconoscere a prima vista un nuovo ricco?
"Sì, dall’età. A parte gli scherzi credo di sì, anche se è difficile da spiegare. E' un fatto istintivo. Chi come me ha alle spalle una lunga tradizione di accoglienza spesso riesce a riconoscere il cliente a prima vista. Del resto, penso che anche i clienti riescano a riconoscere un albergatore di lungo corso da uno recente".

Il mito della maggiore sobrietà di chi ha ereditato la ricchezza rispetto a chi l’ha creata dal nulla è solo un luogo comune?
“No, senza voler generalizzare,credo che corrisponda a verità”.

I nuovi ricchi per eccellenza sono oggi i russi, che nell’immaginario collettivo, ma anche nella realtà, hanno soppiantato gli sceicchi. Come si comportano?
"A Capri, almeno nei nostri alberghi, non se ne vedono poi tanti. Così come non si sono mai visti tantissimi arabi".

Come lo spiega, considerato l’antico legame tra l’isola e la Russia?
"Che dire? Forse settant’anni di comunismo hanno pesato molto. Hanno creato una frattura storica molto profonda. D’altra parte i russi che venivano a Capri un secolo fa non erano sempre persone facoltose. Prendiamo il grandissimo Maksim Gorkij: non era certamente un miliardario. Spesso Capri adottava questi grandi personaggi e li faceva sentire a casa".

Per un imprenditore di successo come lei, che spazio deve avere la cultura a Capri?
"Uno spazio importante. Per questo credo che sia necessario rimettere a disposizione della comunità isolana una struttura come la Certosa, dove ho avuto la fortuna di frequentare il liceo classico. Purtroppo le sabbie mobili della burocrazia l’hanno finora impedito. Ma penso anche a Villa Jovis, che benché decentrata, potrebbe costituire un punto di riferimento importante. Naturalmente anche gli imprenditori devono offrire un contributo. Noi, per esempio, abbiamo sempre offerto ospitalità ad eventi importanti e qualificanti. Esemplare è l’attività svolta dai titolari della libreria La Conchiglia. Siamo stati onorati per esempio di ospitare recentemente lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua. Anche la lectura Dantis di Cacciari (ieri all’hotel Caesar Augustus di Anacapri, ndr) è stata un iniziativa di grande livello culturale".

Se la sente di assicurare a Cacciari che a Capri la barbarie non prevarrà?
"Ne sono sicuro. Come ha sempre ripetuto mio padre, Capri ha uno stomaco così forte che riuscirà sempre a digerire qualsiasi cosa".

Gimmo Cuomo

Corriere del Mezzogiorno, Venerdì 18 Luglio 2003
Un’agenzia milanese cura il Marchio Capri

CAPRI - Un grande disegnatore e la consulenza di uno dei maggiori studi legali italiani a tutela e salvaguardia del «Marchio Capri». L’amministrazione comunale caprese affila le armi per difendere l’immagine dell’isola, stabilendo modi tempi e criteri per i prodotti che vogliono utilizzare il nome di Capri. Con delibera di giunta numero 242 è stato deciso, infatti, di adottare il parere richiesto allo studio legale milanese Daffarra & Partners per la difesa di tutto quanto è legato al nome dell’isola azzurra. Come recita il testo della delibera «L’amministrazione comunale di Capri è impegnata da tempo nell’attività di propaganda e difesa dell’origine, natura e qualità dei prodotti dell’isola» e diviene, quindi, di fondamentale importanza portare avanti tutte le attività finalizzate alla salvaguardia del cosiddetto «Marchio Capri». Fra l’altro proprio di recente, la giunta comunale ha affidato al noto disegnatore Milo Manara la realizzazione di un marchio figurativo, di un logo che possa rappresentare Capri, registrandone ovviamente il contenuto.
«Un’idea che nacque nel lontano 1985, quando l’amministrazione formò un comitato al quale aderirono le maggiori imprese artigiane di Capri», spiega Pino Spirito, assessore al Turismo del Comune di Capri e relatore dell’iniziativa. «Oggi riprendiamo un discorso iniziato tanti anni fa e che non è mal stato portato a termine. Negli ultimi tempi era diventato una necessità viste le particolari richieste da parte delle industrie che intendono collegare il nome MiIo Manara dell’isola al loro prodotto.Quello che noi offriamo, con il nostro marchio, è una vera e propria certificazione di qualità. Per poter usufruire del marchio, infatti, occorrono dei requisiti precisi. In questo ci aiuterà la “Daffarra & Partners” svolgendo un’attività di ricerca e di assistenza nella stipula dei contratti con le varie aziende che ne faranno richiesta. Chiaramente, al comune di Capri dovrà essere riconosciuta una royalty per l’utilizzo del marchio». Marchio che il disegnatore Milo Manara, che lo scorso dicembre aveva esposto alcune sue opere nell’ambito di una giornata caprese organizzata da Napoli Comicon’, ha già realizzato con i simboli tipici dell’isola azzurra: Faraglioni e luna caprese. Ovviamente la tutela legale del «Marchio Capri» si è resa necessaria proprio per rendere possibili le attività a salvaguardia di tutti i prodotti targati Capri. In futuro con il marchio si potrebbe contraddistinguere ogni genere di prodotto, da quello alimentare a quello artistico.

Corriere del Mezzogiorno, Domenica 29 Giugno 2000
"Capri é cambiata, ma é bella da morirci”. Lea Vergine e i rapporti con l’isola dal ‘50 a oggi: quanti misfatti e ora non è di moda"
di Francesco Durante

CAPRI - Vent’anni fa si apriva "Capri 1905-1940 - Frammenti postumi", insuperata mostra sulla storia dell’isola negli anni d’oro: una iniziativa seminale, che sottraeva Capri al già visto della vulgata sentimental-mondana e la incardinava ben dentro la vicenda delle avanguardie europee, intellettuali e politiche, dal futurismo al marx-leninismo. Curatrice della rassegna era Lea Vergine, critica d’arte e gran signora napoletanmllanese. Le è toccato, con quella iniziativa che ora torna nel libro omonimo, edito da Skira, di dare praticamente il via alla nuova filologia caprese, che in questi anni è andata moltiplicando gli studi e le ricerche. «L’ultima volta che sono stata a Capri doveva essere il ‘94. Ero venuta a vedere una casa su indicazione di Lucio Amelio che s’era improvvisamente infatuato di me, mi aveva regalato ll suo disco dove cantava "Ma l’amore no", e una sua foto vestito da principe in un film di Lina Wertmueller. C’incontrammo nella sua casa nuova sul lungomare di Napoli, era già prosciugato dalla malattia, e fu forse l’unico nostro incontro sereno dopo tanti capricci fin dai tempi che non aveva ancora la galleria. Pensi che io lo conobbi nella veste di interprete del poeta russo Evtusenko al cineclub di via Orazio. Avevamo uno strano rapporto. Quando lasciai Napoli, la casa e mio marito, Lucio andò a trovare mia madre in Piazza Carità, per “inzolfarla”, come si dice, affinché mi riportasse all’ovile. E poi un giorno me lo ritròvo in via dei Bossi a Milano: “Sono venuto a vedere dove é venuta a ficcarsi”, mi disse, un pò brusco. Insomma, caso tipico di "amore-odio".

E quella casa di Capri?
"Quella casa che Lucio mi consigliò era Villa Quattro Venti: una dimora storica dove avevano soggiornato artisti americani come Elihu Vedder e Charles Caiyl Co1eman, e che ora era della moglie del pittore Sandro Chia. Mi ci accompagnò la stupenda Ausilia Veneruso della libreria La Conchiglia: ma quando vidi in che abbandono e disordine si trovavà quel bellissimo giardino, lo trovai talmente triste e deprimente... un luogo di fantasmi... Insomma decisi di non andarci".

E da allora, niente più Capri. Eppure c’era sempre venuta.
"Soprattutto da piccina. Mio padre fin dagli anni Trenta ci veniva a suonare il piano e il violino con il quartetto di Barbara Giuranna. E anch’io, non appena raggiunta un’età adeguata, ci fui portata. La prima casa fittata per quella che allora si chiamava villeggiatura si trovava davanti all’hotel La Palma. Appena finiva la scuola, a metà giugno, mio padre mi portava a Capri a rinnovare il guardaroba. Non si ha un’idea delle meraviglie dell’artigianato caprese di quegli anni e io ero una che doveva fare i suoi esercizi di portamento, camminare coi dizionari in testa... Un giorno una delle sorelle della boutique La Parisienne, in piazza, disse qualcosa per cui era chiaro che ci aveva scambiato me per 1’amichetta adolescente e mio padre per il vecchio amante. Lui ne fu felice, io pensavo: ma tu guarda questo stupido... Mi teneva un po’ a uso di bambola, mi esibiva nella sua isola preferìta. E mi diceva sempre: quando esci, fermati davanti allo specchio e togli, togli, togli".

Col gusto di oggi, avrebbe detto: metti, metti, metti.
"Eh, allora c’erano le stupende Consuelo Crespi e Simonetta Fagiani. E Edda Ciano, pettoruta con le sue spalle da militare, alta e cattivissima, che stava sempre a urlare davanti alla vetrina di Chantecler... Che tempi... Davanti al Quisisana c’erano i ciuchi, lo sa?"

Lei faceva mondanità?
"Eh! Si partiva da Mergellina la notte, verso le dieci, per andare a ballare al Number Two. Al ritorno si faceva colazione sul porto e via. Mi sa che oggi non c’è più quella cosa affascinante che era il contatto con i musicisti che suonavano dal vivo, col pianista che cambiava ogni tot giorni. Manca la componente dell’imprevisto umano".

Beh, è cambiato tutto.
"Sì. Quella li, negli anni ‘50, era proprio un’altra Capri. Direi che il decennio ‘70 segnò il calo dal punto di vista dei misfatti, degli errori compiuti, dall’hotel Luna in poi. Eppure, per quanti ne ahbian fatti... Guardi, io non sono mai stata lontana da Capri per così tanto tempo come ora, però se potessi scegliere dove morire, direi: quì".

Qual è la sua idea del rapporto tra Capri e la cultura?
"Oh, se non ci fosse il piccolo focolaio di quei due ragazzi (ma forse ormai dovrei dire vecchietti?) della Conchiglia, ci sarebbe ben poco da dire. Anche Capri sta nell’andazzo generale del degrado dell’incafonimento dell’incuria. I luoghi, come le persone, hanno flussi e riflussi e questo momento non è felice per nessuno. Siamo in un quadro generale di non volontà, non si è mai vista in giro tanta ansia mescolata a tanta depressione. Capri, poi, è fuori moda - cosa che ha i suoi piccoli vantaggi, però poi viene a mancare la gente che investe".

E chi è di moda?
"Ma via, lo sa, c’è questa foia per Formentera, per Ibiza... Del resto lei li conosce gli italiani, vanno tutti alle Seychelles o alle Maldive, che saranno anche meravigliose, ma se _io vado a Capri pensi alla quantità di cose che posso trovare, dal barocchetto alla pizza di Gemma. E comunque..."

E comunque?
"E comunque Capri non è un luogo da cui si debba pretendere cultura. Tutti quelli che ci venivano, mica ci venivano per far cultura, ci venivano così, come in una riserva indiana... Quanto ai capresi, a differenza di noi possono realizzare il sogno dell’amore senza il bisogno dell’arte».

E lei a Capri quando torna?
"Per adesso, le dirò, vado in vacanza a Ischia per una quindicina di giorni”.

Corriere del Mezzogiorno, mercoledì 25 febbraio 2004
"ADDIO STATUS SYMBOL, IL VERO LUSSO E’ VINTAGE." di Anna Paola Merone

«Il lusso è spreco, possesso straordinario, distinzione senza prezzo. Mette in scena l’eccesso, oltre ciò che meramente serve a uno scopo, oltre ciò di cui c’è semplicemente bisogno». Il «Lusso» è il fulcro intorno al quale si sviluppa il libro di Patrizia Calefato, edito da Meltemi, che sarà presentato questo pomeriggio alle 18.30 a la Feltrinelli di Napoli. «Eppure il lusso — sottolinea l’autrice, che insegna Sociolinguistica nella Facoltà di Lingue e Letterature straniere e nel corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università degli studi di Bari — è anche altro. L’accezione più contemporanea del termine ha molto a che fare con il benessere ed è “prendersi il lusso”, una espressione sempre più ricorrente. Il lusso è avere tempo, sapersi prendere cura di se stessi».
Il lusso replica alla domanda se possa esistere un desiderio che il bisogno non prevede. E ovviamente questo bisogno esiste e molto spesso coincide con la sicurezza che viene dal possedere un oggetto. «Alla maggior parte dei miei studenti — nota l’autrice — il lusso fa storcere il naso: loro hanno altri valori. Tutto questo fino a quando non cominciano a pensare ai motivi più profondi per cui il lusso piace, legati a rassicurazioni, alla ricerca di certezze. Così accade che chi non può comperare una borsa firmata compra un piccolo portachiavi della stessa griffe, come per partecipare comunque di una piccola parte di un mondo cui non può accedere. Oggi stiamo un po’ superando questa fase, poiché il lusso è sempre più ricerca dell’eccezionalità, della rarità. Più che giocare su una firma si fa riferimento al vintage. E’ un ambito in cui l’oggetto, che sia di moda o di arredamento, ha una sua aura di vissuto, ha attraversato un’altra vita, rappresenta un’epoca storica, è una specie di rifugio nel passato. Il lusso del vintage è nel fatto che quel bene è assolutamente raro, anzi unico».
Patrizia Calefato per aprire la porta sul mondo del lusso parte dall’etimologia della parola, che viene da lussuria, in latino luxuria e cioé eccesso, fasto, profusione. «Poi — spiega —, mi sono spostata su un termine etimologicamente indipendente, lussazione, intesa come interruzione della normalità, della serialità, del percorso quotidiano. Il lusso come rottura di un ordine prestabilito, dunque. Il lusso, comunque, finisce per mostrare anche l’estremo opposto: la miseria, la penuria. Il lusso non è solo un gioiello, ma anche l’acqua laddove manca».
Leggendo il libro, quel che colpisce è la grande ricerca portata avanti da un’autrice che ha letto centinaia di riviste patinate, guardato migliaia di pubblicità di gioielli, pellicce, abiti firmati, osservato milioni di fotografie che propongono i nuovi simboli del lusso. «Mi è rimasta — ammette — una certa sensazione di nausea. Ci sono stati momenti in cui non mi staccavo dal computer. Navigando in internet ho visitato i siti del lusso, guardato libri di fotografie, immagini, film, riviste. Mi sono avvicinata ad un immaginario bello e raffinato ma anche molto kitsch. Il lusso tende sempre a debordare verso il kitsch e la nausea viene fuori dall’eccesso, dal troppo».
Una sensazione determinata anche dal fatto che la Calefato si è posta rispetto all’argomento «a distanza critica, una fashion victim avrebbe potuto scriverne con maggiore competenza di me rispetto a questioni di moda, ma avrebbe avuto un coinvolgimento troppo diretto».
Impossibile, per l’autrice, non tracciare anche un profilo di Bari, sua città d’origine, rispetto al lusso. «Ho notato una ricerca della distinzione, dell’eleganza soprattutto da parte delle donne. La campagna pugliese — racconta — è la nuova Toscana, dove c’è il nuovo lusso della masserie. A Napoli, invece, c’è una eleganza più diffusa e ci sono tratti appena intuibili di una preziosità segreta. Il lusso, quello vero che non ha niente a che fare con l’ostentazione, è chiuso, nascosto dentro i palazzi. A Bari ci sono molti parvenue, a Napoli c’è un lusso antico il cui equivalente, in Puglia, è Lecce e tutto il Salento. Ma Napoli resta la capitale del lusso della cultura raffinata».
Dopo il lusso, Patrizia Calefato ha iniziato a guardare all’Oriente. Sta curando, sempre per Meltemi, «Il sogno di Butterfly» di Rey Chow.

Anna Paola Merone

IL MATTINO -sez.cultura-, mercoledì 25 febbraio 2004
"LUSSO, IL VIZIO INTIMISTA DEL SUD
Le ostentazioni commerciali dei settentrionali le preferenze familiste dei meridionali" di Costanza Falanga

«Là, tutto non è che ordine e bellezza, lusso, calma e voluttà», immortalava così Baudelaire, in poche ed efficaci parole, l’idea del lusso come concetto concreto e immateriale al tempo stesso. Un concetto che è, insieme, intreccio e inganno, dominio e astrazione, con in più la forza innata di attraversare immutato tutte le epoche e giungere fino a noi.
Il lusso, senza limiti né confini, è al centro della ricerca di Patrizia Calefato, semiologa dell’Università di Bari che, attraverso lo studio dei linguaggi, ha costruito la sua insolita e interessante carrellata storica intorno a questo tema tanto attuale quanto irriverente, soprattutto se contrapposto alle numerose e insanabili povertà della società contemporanea.
Attraversando i linguaggi della moda e della pubblicità, Patrizia Calefato ricostruisce le ragioni di un modello estetico, economico e culturale, ma soprattutto sociale, che si riconosce nella rarità e nell’opulenza, descrivendolo con gran ricchezza di particolari in Lusso (Meltemi editore, 158 pagg. 16 euro) così come viene vissuto a Sud e a Nord d’Italia. Due mondi contrapposti, raccontati nel saggio presentato stasera alle 18,30 a la Feltrinelli di piazza dei Martiri da Mauro Maldonato, Iain Chambers, Cristina Vallini e dalla stessa autrice. A lei chiediamo la differenza tra Nord e Sud dell’Italia nel rapportarsi alla dimensione del superfluo.
«Al Sud lusso è ricerca di spazio infinito e nascondimento», dice Patrizia Calefato. «Penso ai grandi palazzi gattopardeschi di una volta e alle eleganti case private di oggi in città come Palermo, Lecce, Napoli. Chiusi, segreti e lussuosi. Al Nord è tempo finalizzato all’accumulo. Come dire, il Sud è intimista e familista, il Nord commerciale, in tutte le epoche».

Che senso ha per un sociologo un argomento come il lusso?

«Questo libro è nato dall’incontro dei miei studi sui linguaggi, in particolare su quello della moda, con la richiesta dell’editore di un libro da dedicare al lusso. Un tema forte e scomodo in tempi di grandi povertà che interessano il mondo intero. Io ho cercato di portare a termine la mia ricerca attraverso i linguaggi della moda, del viaggio, della pubblicità. Cercando le motivazioni più profonde del lusso dal punto di vista antropologico e sociale, nella contemporaneità e nei motivi che ci spingono ad amarlo ed odiarlo. Perché il lusso si può anche odiare ma non è possibile rimanergli indifferenti».

Si è posta uno scopo preciso o la sua ricerca è stata una continua scoperta?

«Non sapevo dove sarei arrivata. Durante le mie ricerche ho scoperto con meraviglia che, a dispetto di quanto si possa immaginare, il lusso è più nascondimento che ostentazione».

In poche parole, quello vero non è sotto i nostri occhi?

«Proprio così. L’invisibilità sembra essere la sua caratteristica dominante anche se il lusso ha tante facce, ma i veri lussuosi sono quelli che non vediamo. Ecco perché, paradossalmente, il lusso non ha niente a che vedere con il mondo massificante e omologante della moda ma, in analogia con il termine “lussare”, è vero elemento di rottura con tutto ciò che è serie e serialità. Il vero lusso è unicità».

La nostra è una società che alimenta il lusso malgrado tutto?

«Indubbiamente sì, malgrado la povertà dilagante. Sono tante le aziende dell’alta finanza che hanno esportato questo concetto fino in Cina. Ma ciò è dovuto ad un fattore intrinseco al lusso stesso. La sua capacità di rassicurare rispetto a ciò che è destinato a durare, si tratti di gioielli, case o altro. Il senso di eternità che ha in sé».

Il lusso più grande è sempre quello meno accessibile. C’è un lusso senza prezzo in assoluto?

«Il tempo e lo spazio che oggi sembrano, per assurdo, appannaggio solo di chi in realtà non ha niente. E poi la giovinezza, che nessun espediente scientifico e nessun intervento chirurgico ci potrà mai ridare una volta passata. Nessuno avrà mai la completa padronanza del proprio corpo e della propria vita, per questo non c’è prezzo che tenga».

Costanza Falanga